Burning Down the House - Talking Heads - 80sneverend

Genio piromane

Talking Heads – Burning Down the House

#quotefromthe80s
All wet, here, you might need a raincoat
Shake-down, dreams walking in broad daylight
Three hundred sixty-five degrees
Burning down the house
#BurningDownTheHouse #TalkingHeads

Ci sono stati tantissimi geni negli anni ’80. Talenti geniali e multiformi che hanno a volte indirizzato la carriera di interi gruppi. E non c’è stato un periodo migliore per la genialità: dai talenti di Steve Strange, Peter Gabriel e Midge Ure nei primissimi anni ’80 (pensiamo a capolavori originalissimi come Fade to Grey, Games Without Frontiers o Vienna), passando poi per personaggi iconici come Falco nella parte centrale, o Terence Trent D’Arby in quella finale, ma ce ne sono stati tantissimi altri.

Tra questi, sicuramente dobbiamo menzionare David Byrne, il leader pensante delle “teste parlanti”, ovvero dei Talking Heads (che spesso scrivevano il loro nome come “T∀LKING HE∀DS”, maiuscolo e con le A rovesciate.

Siamo nei primi giorni di luglio del 1983, proprio quei giorni in cui in Italia si sentiva Vamos a la Playa in ogni singolo minuto dell’estate. Negli Stati Uniti era uscito da circa un mese l’album Speaking in Tongues, e da quest’album i Talking Heads lanciarono un singolo fantastico che avrebbe sicuramente segnato la loro carriera, e stiamo naturalmente parlando di Burning Down the House.

Da dove viene questo titolo piuttosto aggressivo? Lo ha raccontato la bassista del gruppo, Tina Weymouth. Tempo prima, lei e il marito (Chris Frantz, batterista del gruppo) erano andati al Madison Square Garden a un concerto funk, un genere di cui erano appassionati. Per la cronaca, era un concerto di un gruppo che si chiamava P-Funk (il nome esteso era Parliament-Funkadelic) e insomma, durante questo concerto la folla aveva iniziato a incitare il gruppo urlando “Burn down the house! Burn down the house!”

Tempo dopo, durante una delle sessioni di registrazione per il nuovo album, lo stesso Frantz in preda all’euforia iniziò a urlare lo stesso incitamento, e catturò l’attenzione di David Byrne, che vide in questa frase un enorme potenziale, tanto da costruirci intorno una intera canzone. Siccome i cerchi della vita tendono spesso a chiudersi, nel tour successivo al disco i Talking Heads avevano il supporto di alcuni musicisti aggiuntivi, e tra questi fu invitato anche un membro dei P-Funk.

In realtà la canzone non parla proprio di atti incendiari o vandalici. A dire il vero, è piuttosto difficile dire di cosa parli la canzone, perché come spesso disse David Byrne, le parole o i versi venivano scelti perché suonavano bene in quella parte della canzone, e non perché ci fosse una storia intera da raccontare. E in effetti potremmo dire che la canzone non parla di niente, anche se sicuramente è infarcita di versi ad effetto che tendono a farsi ricordare.

David Byrne però non si fermò alla canzone, ma decise di farci anche un video. Non solo, decise anche che avrebbe diretto lui personalmente il video, e così avvenne. Ovviamente, visto il titolo della canzone, serviva quanto meno una casa da mostrare. Venne scelta una casa che si trova in un paese del New Jersey che si chiama Union, non lontano dall’aeroporto di Newark, e di fatto quella casa divenne famosissima tra i fans dei Talking Heads, tanto che per molti anni veniva spesso visitata dai fans che vi si recavano appositamente (non escluderei che qualcuno possa farlo ancora; io per esempio ci andrei!)

Il video è particolarissimo e contiene diverse scene interessanti, per esempio quella in cui si vede un bambino interpretare… David Byrne da bambino. Il giovane aveva dodici anni, si chiamava Max Illidge, e per ironia della sorte divenne poi anche lui frontman di un gruppo americano attivo a cavallo degli anni Duemila, che si chiamava 40 Below Summer e suonava musica new-metal (anche se loro stessi non ne erano completamente convinti).

Burning Down the House fu probabilmente il più grande successo dei Talking Heads, ma quando uscì non ebbe poi tutto questo successo. Negli Stati Uniti ottenne ovviamente i migliori risultati, ma nel Regno Unito e in generale in Europa non entrò nemmeno nelle classifiche. Riuscì però a entrarci una quindicina di anni dopo, nel 1999, grazie a una memorabile cover piuttosto psichedelica del grandissimo Tom Jones insieme ai Cardigans, il gruppo della cantante Nina Persson. Il successo della versione di Tom Jones riportò in vita anche la versione dei Talking Heads, con risultati molto migliori di quelli ottenuti negli anni Ottanta.

Burning Down the House ha anche un’altra particolarità. Dopo il tour di Speaking in Tongues, David Byrne decise che i Talking Heads non avrebbero più fatto altri concerti, solo musica in studio. Fecero altri tre album, ma nessun tour. Si riunirono dal vivo una sola volta, nel 2002, quando vennero ammessi a far parte della Rock and Roll Hall of Fame, e in quella occasione suonarono di nuovo insieme dal vivo, prima e unica volta dopo oltre diciotto anni.

Ebbene, il concerto si concluse con una memorabile interpretazione della loro canzone più famosa, che era appunto Burning Down the House, che divenne così l’ultima canzone in assoluto suonata dal vivo dai Talking Heads. Una canzone e un gruppo entrati davvero nella storia grazie anche a un urlo sentito a un concerto!

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