Paul Hardcastle – 19
#quotefromthe80s
In World War II the average age of the combat soldier was 26
In Vietnam he was 19
In-in-in Vietnam he was 19
In-in-in Vietnam he was 19
#PaulHardcastle #Nineteen
Una sola canzone è riuscita ad arrivare in testa alla classifiche con il titolo composto esclusivamente da un numero: 19 di Paul Hardcastle. E andrebbe proprio scritto con il numero, non “Nineteen” in lettere. Dopo essere stato un valente tastierista per vari artisti e gruppi nei primi anni ’80, Paul Hardcastle decise di mettersi in proprio e di concentrarsi sulla musica disco, ottenendo buoni successi nelle classifiche di settore. Naturalmente questo tipo di suoni gli diede una certa dimestichezza anche con campionatori e sintetizzatori, per quanto fossero strumenti ancora agli albori.
Nel 1984 avvenne, nella vita di Paul, il classico evento inatteso per cui nulla poi sarà come prima. Una sera, Paul si trovò a guardare un documentario sul Vietnam, intitolato “Vietnam Requiem”. Tante cose lo colpirono della narrazione, ma soprattutto una: gli autori enfatizzavano come, rispetto alla seconda guerra mondiale, il Vietnam fosse stato una guerra senza regole in cui morirono soprattutto dei giovani senza colpa né esperienza. In particolare, l’età media dei combattenti nella seconda guerra mondiale era di ventisei anni. In Vietnam, era di diciannove.
In realtà il dato era controverso, alcuni sostennero che l’età media dei combattenti fosse in realtà più alta e non così distante da quella della seconda guerra mondiale, ma poco importa.
La leggenda vuole che Paul si sia messo a paragonare i suoi diciannove anni, probabilmente fatti di musica, pub e discoteche, essendo lui un musicista londinese, con i diciannove anni dei ragazzi che combattevano in Vietnam, raccontati naturalmente attraverso le parole del documentario.
Colpito dalla narrazione, Paul decise di incidere, attorno a questo numero, la prima canzone-documentario della storia. Paul non canta, nella sua canzone più famosa. Ci sono delle coriste per alcune parti cantate, ma tutto il resto sono campionamenti del narratore del documentario, o di spezzoni di notiziari tratti comunque dal documentario stesso. 19 usciva il 12 febbraio 1985, aprendo la strada al primo album di Paul, che si intitolava solo “Paul Hardcastle”. Va detto che nell’album, oltre a alcuni pezzi strumentali disco e lounge, c’erano anche alcune canzoni che meritano di essere citate, come Don’t waste my time, con la voce della bravissima Carol Kenyon, che aveva cantato anche in Temptation degli Heaven 17, o Just for money, con la voce di Sir Lawrence Olivier che racconta la storia della grande rapina di San Valentino al treno postale Glasgow-Londra, la stessa storia che racconterà Phil Collins nel film “Buster”, e nelle canzoni A groovy kind of love e Two hearts.
E così il testo di 19 diventa esso stesso un notiziario di guerra, con i combattimenti delle ultime due settimane che continuano 25 miglia a nord ovest di Saigon, o con la conta dei caduti, che porta le perdite nemiche nel Vietnam del Sud a 2689 soldati.
La voce del narratore ci spiega che cos’è il disordine da stress post traumatico, e veniamo a sapere che anche i sopravvissuti in realtà portano spesso le conseguenze dell’orrore che hanno vissuto, e molti soccombono a pensieri suicidi, incapaci di credere che la guerra sia davvero finita, oppure distrutti dai sensi di colpa per le atrocità che avevano dovuto commettere. E stiamo parlando di quasi ottocentomila persone che stavano di fatto ancora combattendo la loro guerra del Vietnam.
Il capolavoro di Paul Hardcastle fu oggetto di controversie; ricordo che alcune radio, verosimilmente negli Stati Uniti, boicottarono la canzone perché avrebbe trasmesso una concezione negativa degli Stati Uniti d’America. Hardcastle ha sempre smentito, portando come prova i tanti apprezzamenti ricevuti da veterani americani, che si vedevano riconosciuto un ruolo attraverso la narrazione della canzone. Riconoscimento che non sempre c’era stato, se è vero che, come dice il testo del documentario, nessuno di loro ricevette un’accoglienza da eroe al rientro in patria.
Comunque, è un fatto che, contrariamente alle aspettative di Paul Hardcastle, 19 divenne un successo clamoroso. Una parte del merito andava certamente anche ai ritmo assolutamente trascinante dovuto ai campionamenti di Paul, che per la prima volta venivano usati in maniera così estesa nonostante fossero ancora piuttosto limitati tecnologicamente. L’effetto balbuzie sul titolo e su altre parole come destruction e Saigon è diventato, in pratica, il ritornello stesso della canzone. il successo fu così grande e rapido che la casa di produzione si trovò a dover creare rapidamente un video.
C’era un problema, però: nessuna band o cantante sarebbe stato in grado di cantare nel video, vista la natura particolare della composizione. E così Paul ebbe un ulteriore colpo di genio: inserì nel video direttamente gli spezzoni del documentario stesso, con un minimo di editing e poco altro. Peraltro pare che la produzione abbia dovuto corrispondere dei diritti al narratore del documentario, dopo una causa assolutamente senza precedenti vista la natura tecnologica del lavoro di Paul.
Da buon produttore e addetto al mix della sua stessa canzone, Paul ne creò varie versioni (tutte con lo stesso stile ma con campionamenti in parte diversi), e oltre alle versioni in inglese creò anche le versioni commentate in tedesco, francese, spagnolo e giapponese. E in effetti 19 divenne un successo in quasi tutto il mondo.
A distanza di tanti anni, 19 è rimasta assolutamente nel cuore e anche nell’immaginario di noi dinosauri, sia come voce di denuncia dell’orrore della guerra, sia come canzone irresistibile che lanciò Paul Hardcastle tra i protagonisti assoluti degli anni ’80.
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