Sting – We work the black seam
Trent’anni fa, per la nostra generazione, era un giorno di quelli che non si dimenticano. Il 26 aprile 1986 l’Italia era nel mezzo dei festeggiamenti del ponte, era pure sabato, quando alla mattina iniziarono ad apparire strani speaker alla tv, quelli che nessuno conosce e non si sono mai visti, quelli cui tocca dare le brutte notizie.
Furono abbastanza fumosi, non si capì molto, ma iniziarono a dirci che era meglio per un po’ di tempo dare solo latte in polvere ai bambini, che era meglio evitare di mangiare verdure soprattutto se a foglia larga, e altre cose del genere. Ah, era anche meglio se potevamo stare tutti in casa, che poi tanto in primavera cosa c’è da fare fuori? Meglio evitare di prendere sole o peggio ancora pioggia, meglio evitare di prendere anche l’aria.
Ci spiegarono che in Unione Sovietica, per la precisione in Ucraina, c’era stato un piccolo incidente in una centrale nucleare. Niente di grave, ma giusto per precauzione era meglio controllarsi per qualche giorno. Oggi, a trent’anni di distanza, sappiamo tante cose di Chernobyl; certamente molte non le sappiamo, le peggiori non le sapremo ancora per secoli.
Sting aveva da poco scritto Russians, nel suo fantastico Dream of the Blue Turtles, dove per ironia della sorte un’altra canzone prendeva spunto da uno sciopero dei minatori inglesi, in difesa del loro lavoro, e tracciava una elegia cosmica sul progresso, sulle sue promesse, sui cambiamenti drastici che sempre richiede e che qualcuno dovrà scontare, sui pericoli che troppo spesso non conosciamo.
#quotefromthe80s
One day in a nuclear age
They may understand our rage
They build machines that they can't control
And bury the waste in a great big hole
#Sting #WeWorkTheBlackSeed
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