USA For Africa – We Are The World
#quotefromthe80s
We're all a part of God's great big family
And the truth, you know, love is all we need
We are the world
We are the children
We are the ones who make a brighter day, so let's start giving
#USAForAfrica #WeAreTheWorld
Il 28 gennaio 1985 si compì, in un certo senso, la seconda parte di uno di quei miracoli che resero irripetibili gli anni 80. Quella sera le più grandi stelle americane si riunirono per incidere “We are the World”. Se per alcuni questo fu un tentativo di copiare l’idea di Bob Geldof, che due mesi prima aveva riunito i grandi nomi del pop inglese per incidere “Do they know it’s Christmas“, per la grande maggioranza fu un ulteriore sforzo a fin di bene che generò un secondo fiume di aiuti per le zone più povere del mondo, e contribuì per altro a sensibilizzare la zona del mondo forse più ricca.
Per noi che siamo amanti della musica e degli anni 80, “We are the world” è il seme che portò alla realizzazione del secondo pezzo del Live Aid, quello che si svolse al JFK di Philadelphia, creando cosi nel complesso un evento unico al mondo e probabilmente irripetibile per sempre. Ma andiamo con ordine.
Dopo la realizzazione del fantastico progetto della Band Aid, nel mese di dicembre Harry Belafonte, l’interprete di “Banana Boat” che negli anni Cinquanta era considerato il re del calypso, ebbe un sussulto d’orgoglio. Il mondo della musica statunitense non poteva restare indifferente all’esempio degli inglesi, e doveva fare la sua parte. Dopo avere contattato un paio di produttori, coinvolse due persone fondamentali. Il primo fu Lionel Richie. Lionel capì subito che serviva un grande produttore per un progetto del genere, e non ebbe dubbi. Chiamò il più grande, chiamò Quincy Jones. Quando il telefono squillò, Quincy Jones era in compagnia di Michael Jackson. I due avevano realizzato insieme l’album “Thriller” e stavano iniziando a lavorare al prossimo album del re, “Bad“. Un minuto dopo Michael Jackson faceva parte, insieme a Lionel Richie e Quincy Jones, dei creatori del progetto “USA for Africa”.
In breve stilarono la lista delle star da invitare. Alcuni avevano già fatto parte di un progetto di Quincy Jones per un disco di Donna Summer, parliamo di Dionne Warwick, Stevie Wonder, Kenny Loggins, e accettarono rapidamente. La lista degli inviti era lunghissima, e man mano che aumentavano le adesioni, diventavano evidenti due problemi. Prima di tutto, dove e quando fare la registrazione, visto che gli artisti erano sparsi in ogni zona d’America. Poi, Quincy Jones si rese conto che avrebbe molto probabilmente dovuto gestire anche le ambizioni e le aspettative di grandi star abituate ad essere assoluti protagonisti, ma che si trovavano insieme ad altri per la prima volta. E non tutti avrebbero potuto essere protagonisti nel brano.
Per quanto riguarda la logistica, Richie, Jackson e Jones ebbero una idea vincente: il 28 gennaio 1985 a Hollywood era in programma la serata degli American Music Awards, e molte delle star sarebbero state presenti alla serata. Così Quincy Jones prese la decisone giusta: invitarli tutti, dopo la cerimonia, agli studi della A&M, che erano molto vicini, per registrare la canzone durante tutta la notte, in un immenso after party.
Diversamente da come aveva fatto Bob Geldof con la Band Aid, Quincy Jones aveva già preregistrato la base musicale, e aveva inviato una cassetta con la base e le voci di Lionel e Michael Jackson a ognuno degli invitati, che quindi si presentarono sapendo già come doveva venire la canzone, anche se certamente ci fu una notevole dose di improvvisazione che contribuì al grande successo. Per registrare la base, Quincy Jones aveva chiesto aiuto allo stesso team che aveva suonato in “Thriller”. Un dream team di cui facevano parte, per esempio, Steve Porcaro e David Paich dei Toto, e il percussionista Paulinho da Costa.
E venne il grande momento. Quincy Jones fece accomodare tutti gli accompagnatori, i manager, le mogli, i mariti, i partner in un’altra stanza, e le star entrarono in sala di registrazione. Per terra c’era del nastro adesivo con i nomi delle persone, e ognuno aveva quindi contrassegnato il proprio posto. Un metodo semplice ma efficace per gestire eventuali pretese di visibilità o maggior spazio. A dire il vero furono ben poche le occasioni di screzio; si può davvero dire che tutto filò liscio, e per le otto del mattino seguente tutto era finito e tutte le voci erano registrate.
Abbiamo già citato alcuni dei protagonisti di questo progetto; ce ne erano molti altri, a partire da quelli che hanno avuto la possibilità di avere qualche verso tutto per loro, come Bruce Springsteen, Cyndi Lauper, Paul Simon, Kenny Rogers, Billy Joel, Tina Turner, Daryl Hall, Kim Carnes. Alcuni grandi miti ebbero inquadrature ravvicinate, come Stevie Wonder e Bob Dylan. Altri apparvero solo nel coro, come le Pointer Sisters, LaToya Jackson, Sheila E. Erano tutti americani, tranne due: Dan Aykroyd, l’attore canadese protagonista di “The Blues Brothers” e “Ghostbusters”, che fu invitato a rappresentare il mondo del cinema, e soprattutto Bob Geldof, che fu invitato proprio per rappresentare la continuità e in un certo senso anche riconoscere la validità del progetto Band Aid.
Ci furono dei grandi assenti; Madonna fu la star più famosa a non essere inclusa tra gli invitati. Prince doveva partecipare, ma non si presentò, non si seppe mai il vero motivo. Rimediò inviando comunque una canzone da inserire nell’album. Ci fu chi ne trasse beneficio, perché quando fu chiaro che Prince non si sarebbe presentato, il suo verso nella canzone fu offerto all’incredulo Huey Lewis, che avrebbe dovuto solo cantare nel coro.
Fu un successo enorme: la canzone uscì il 7 marzo incisa in ottocentomila copie che andarono subito esaurite. In totale vendette più di venti milioni di copie, raggiunse la vetta delle classifiche di tutto il mondo e divenne, in quel periodo, il brano più venduto nella storia della musica. Fece naturalmente man bassa di premi ed award, sia come canzone che come video.
La continuità e la affinità dei progetti Band Aid e USA for Africa, oltre che dalla parteciapzione a entrambi di Bob Geldof, fu naturalmente testimoniata dal concerto che segnò il momento più alto della storia degli anni 80, il Live Aid, che il 13 luglio 1985 unì gli appassionati di musica di tutto il mondo con due concerti imperdibili a Wembley e allo stadio JFK di Philadelphia.
“We are the world” è molto più di una canzone, quindi; oltre ad aver contribuito a migliorare le condizioni di vita in una parte del mondo, che è la cosa più importante, ha anche avuto un impatto sulla carriera e sull’immagine di tanti artisti. Personalmente, ho avuto la fortuna di sentirla cantre da Lionel Richie in persona in un suo concerto a Milano, con le immagini del video che scorrevano sullo schermo alle sue spalle. Le emozioni che non si dimenticano.
USA for Africa su Wikipedia
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