Born in the USA - Bruce Springsteen - 80sneverend - Homeland flag

La bandiera di casa

Bruce Springsteen – Born in the U.S.A.

#quotefromthe80s
Got in a little hometown jam
So they put a rifle in my hand
Sent me off to a foreign land
To go and kill the yellow man
#BruceSpringsteen #BornInTheUSA #80s

Il mese di ottobre del 1984 si chiudeva con l’uscita di uno dei pezzi più importanti per la musica degli anni 80 in America. In realtà la canzone era stata scritta due anni prima, forse tre, se è vero che il suo autore, Bruce Springsteen, la aveva già registrata nel gennaio 1982 per includerla nel suo album Nebraska. Non se ne fece niente quella volta, e forse era meglio così, perché in quegli anni la diffusione della musica pop crebbe incredibilmente, e direi che per lanciare una canzone destinata a diventare eterna come questa, non c’era momento migliore del periodo tra la fine del 1984 e la metà del 1985, i famosi mesi che precedettero il Live Aid.

Quindi, Born in the U.S.A. uscì come singolo proprio in quel periodo, circa sei mesi dopo Dancing in the Dark, e diede titolo e foto di copertina a uno dei più famosi album del Boss, probabilmente quello che lo fece conoscere a milioni e milioni di giovani nel mondo.

Born in the U.S.A. è una canzone di denuncia senza mezzi termini, e parla naturalmente della situazione insostenibile in cui spesso si venivano a trovare i reduci della guerra del Vietnam. Mentre i reduci di altre guerre, perloppiù vittoriose, venivano accolti trionfalmente, ricoperti di onorificenze, e spesso tutelati e privilegiati dal punto di vista sociale e lavorativo, ai reduci del Vietnam toccò una sorte molto diversa. Springsteen riassume questa storia simbolica in pochi versi: la storia di un ragazzo che resta coinvolto in una rissa in qualche cittadina americana, e viene spedito dall’altra parte del mondo a combattere con un fucile in mano un nemico che nemmeno conosce.

Perde un fratello nella stessa guerra, ma almeno torna vivo negli Stati Uniti. Per lui però, dopo anni passati tra incubi e mostri di guerra, non c’è accoglienza. Non c’è neppure lavoro in fabbrica o in raffineria, e persino l’ufficio per la tutela dei veterani ha solo parole di circostanza. Da qui nasce l’urlo di rabbiosa denuncia: sono nato negli Stati Uniti: ho fatto quello che gli Stati Uniti mi hanno chiesto di fare.

Il titolo originale della canzone doveva essere proprio “Vietnam”, ma quando Springsteen sentì parlare di un film in fase di realizzazione intitolato Born in the U.S.A., pensò che questo era il titolo adatto per la canzone. In cambio diede al regista una canzone per il film. La canzone si intitolava Light of the Day, che divenne poi il nuovo titolo del film.

Springsteen non pone l’accendo sui traumi vissuti dai giovani americani in Vietnam, o sullo stress post traumatico come avrebbe fatto un anno più tardi Paul Hardcastle in 19, ma sulla delusione del rientro, su un bentornato che l’America non riservò mai ai reduci del Vietnam. Come riassumerà magnificamente Hardcastle, nessuno di loro fu ricevuto da eroe. Springsteen non aveva fatto il militare, fu anzi molto discusso perché ammise di essere risultato non idoneo grazie ad una simulazione: forse per questo non descrisse l’inferno della guerra, ma fu testimone dell’inferno del ritorno dei reduci.

Certo, se ascoltiamo o magari leggiamo solo il titolo, potrebbe sembrare che la canzone sia un inno all’orgoglio americano, ma non è affatto così. Eppure qualcuno cercò di appropriarsi di questa canzone per farne un inno di orgoglio. E non parliamo di gente qualunque, ma addirittura di Ronald Reagan, evidentemente non un attento ascoltatore dei dischi del Boss, che provò ad usare la canzone e il titolo di Born in the U.S.A. per la sua campagna presidenziale. Naturalmente bruce Springsteen non concesse i diritti d’uso e di fatto ribaltò la situazione contro Reagan. Anche in un’altra occasione Springsteen non volle concedere i diritti alla Chrysler di usare la canzone per una campagna pubblicitaria, rinunciando a ben dodici milioni di dollari.

Il video è semplice ma molto d’effetto: le scene riprese ai concerti del Boss si alternano a scene da stereotipo dei giovani americani nati negli anni ’60 e cresciuti nei ’70, e molte volte poi mandati in Vietnam. Nella parte finale ci sono le scene del ritorno dalla guerra, con persone che hanno riportato danni, persone che svolgono lavori umili, persone in coda per l’assistenza, e l’immagine che riassume tutto il senso della guerra, le croci bianche del cimitero erboso.

Per girare le scene per il video, Springsteen si era vestito nella stessa maniera durante alcuni concerti consecutivi in modo da avere più scene a disposizione. E forse la fascia nera in testa richiama l’iconografia di Rambo, il combattente e reduce per eccellenza. Il video si apre e si chiude con due scene in cui compare la bandiera americana, ma anche qui ci sono dettagli importanti che potrebbero anche essere casuali, ma sappiamo che negli anni ’80 di casuale non c’era niente.

Guardiamo la bandiera all’inizio del video: le stelle praticamente non si vedono. Certo, potrebbe essere una bandiera artigianale fatta con semplicità, ma potrebbe anche essere un primo atto di denuncia verso una America in cui manca qualcosa, in cui la parte migliore non esiste più. L’immagine alla fine del disco fu suggerita dalla grande fotografa Annie Leibowitz, che ne trasse l’iconica copertina del disco, con la bandiera america sullo sfondo, e il jeans del fonodoschiena di Springsteen in primopiano. Il Boss non voleva usare questa immagine all’inizio, temendo che fosse percepita in qualche modo come oltraggiosa verso la bandiera e la patria. Nel video questa sensazione viene comunque smorzata dal sorriso di Springsteen nel momento in cui si gira.

Born in the U.S.A. divenne una vera canzone simbolo degli anni ’80, e direi dell’intera carriera di uno dei più grandi autori e interpreti americani, la cui carriera dura tuttora e che ha saputo portare la propria musica e i proprio sentimenti in giro per il mondo per decenni, con la naturalezza di una serata di musica tra amici. Se non siete mai stati a un concerto di Bruce Springsteen e della E-Street Band, ricordatevi di metterlo in agenda prima possibile.

Un’ultima curiosità: l’album Born in the U.S.A. fu il primo CD stampato negli stati uniti. La CBS records aveva infatti aperto la prima fabbrica di CD nel 1984 nell’Indiana. Prima di quel giorno, tutti i cd degli Stati Uniti venivano importati dal Giappone. E curiosamente, però, la CBS Records fu poi acquistata dalla Sony, per cui i diritti di Born in the U.S.A. sono oggi curiosamente in mano all’azienda giapponese.

Bruce Springsteen su Wikipedia

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