Tears for Fears – Woman in Chains
#quotefromthe80s
And I feel hopelessly weighed down by your eyes of steel (your eyes of steel)
Well it's a world gone crazy
Keeps woman in chains
#TearsForFears #OletaAdams #WomanInChains
Woman in chains uscì il 6 novembre 1989, circa due mesi dopo Sowing the seeds of love, e fu quindi uno degli ultimi grandi successi degli anni ’80. Ma in un certo senso fu proprio l’ultimo, perché gli anni 80 dal punto di vista di musica e contenuti non finirono al 31 dicembre 1989, ma un attimo prima, come sappiamo, e cioè con la caduta del Muro di Berlino, che avvenne il 9 novembre 1989.
La canzone parla di una donna intrappolata in una relazione con un uomo possessivo e aggressivo: Roland Orzabal volle toccare questo delicato argomento dopo avere approfondito la conoscenza di culture e civiltà di tipo matriarcale, che si caratterizzano per avere livelli di aggressività quasi inesistenti.
La canzone è bellissima e molto evocativa, soprattutto grazie alla splendida voce di Oleta Adams. Come sempre, il destino degli anni ’80 ci mise lo zampino: i Tears for Fears erano negli Stati Uniti nell’estate del 1985 per il tour di Songs from the big chair. Il 29 giugno suonarono a Kansas City, e prima di partire per la tappa successiva si recarono in un locale a sentire musica dal vivo.
Quella sera si esibiva Oleta Adams, completamente sconosciuta a Roland e Curt. La voce di Oleta entrò direttamente nel cervello di Roland, come raccontò in un documentario. Roland fu così colpito da quella voce che ritenne di avere incontrato la voce e la cantante perfetta, e ne ebbe un serio contraccolpo: alla fine del tour andò da uno psicologo perché si era convinto di non essere adatto al ruolo di cantante e pop star, ora che aveva sentito una vera cantante: la sua voce era di gran lunga più potente e impressionante di qualsiasi accorgimento o alterazione elettronica!
Probabilmente lo psicologo era anche un ottimo impresario, e suggerì a Roland di andare a cercare Oleta, mettersi in contatto con lei e sentire se fosse interessata a collaborare con i Tears For Fears. e vedendola e soprattutto sentendola dal vivo, Roland e Curt restarono impressionati: la sua voce era di gran lunga più potente e impressionante di qualsiasi accorgimento o alterazione elettronica.
Roland seguì il consiglio e contattò Oleta, la quale era assolutamente una fan del gruppo (magari era anche stata al concerto di Kansas City), e restò incredula quando le proposero di raggiungerli in Inghilterra per lavorare con loro al prossimo album! E così fu in pratica promossa sul campo con questa canzone, che parla della condizione troppo spesso ingiusta delle donne in un mondo maschilista (a maggior ragione nel 1989).
Roland rivelò poi come la canzone fosse anche un modo per rievocare la madre, e riguardasse anche la componente femminile degli uomini, spesso repressa. L’ultimo verso, “free her”, si riferisce proprio a questo.
Per questa canzone, i Tears for Fears vollero davvero il meglio: non solo Oleta Adams, ma anche le coriste Tessa Niles (che aveva cantato con tutti gli artisti degli anni 80, compresi Duran Duran negli album Notorious e Big Thing, Wham!, Eurythmics, Police, e al live Aid ha cantato Heroes con David Bowie) e Carol Kenyon, voce degli Heaven 17 in Temptation e corista di Paul Hardcastle e tanti altri.
Inoltre, c’erano Luis Jardim, uno dei più grandi percussionisti degli anni 80 e allora marito della Linda Allen Jardim che dava la voce ai cori di Video killed the radio star, poi c’era Pino Palladino, bassista tra i più famosi, e da un certo punto in poi alla batteria c’è lui, il batterista per eccellenza degli anni 80, Phil Collins.
Insomma, una canzone bellissima, che naturalmente è entrata nella storia degli anni 80, orami al termine… e di quelli successivi.
Tears for Fears e Oleta Adams su Wikipedia
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