The War Song - Culture Club - 80sneverend - War and glamour

Guerra e glamour

Culture Club – The War Song

#quotefromthe80s
This world of fate
Must be designed for you
It matters what you say
It matters what you do
#BoyGeorge #CultureClub #TheWarSong

Il filone delle canzoni antimilitaristiche degli anni ’80 comprendeva canzoni di grandissimo successo, che univano testi profondi a video spesso indimenticabili. E spesso erano canzoni tutt’altro che tristi, ma che dietro a musiche piacevoli e piene di energia spingevano appunto a riflessioni e considerazioni destinate soprattutto alle classi politiche dei vari Paesi.

La prima canzone antimilitaristica degli anni ’80 fu probabilmente Enola Gay degli Orchestral Manoeuvres in the Dark (O.M.D.) che già nel 1980 univa la passione per l’aviazione dei membri del gruppo alla denuncia verso l’uso delle armi nucleari. Nel 1983 fu Nena a mettere in guardia sulla possibilità di utilizzare qualsiasi pretesto, anche dei palloncini in volo, per scatenare una guerra, e nel marzo del 1983 gli U2 pubblicarono una delle loro canzoni più famose, Sunday Bloody Sunday, con il famoso coro “No war”, e la bandiera bianca che sventolava nei concerti. L’anno successivo lo scenario si spostava alla marina, con il video degli Industry State of the Nation girato su una nave da guerra, e anche i Frankie Goes to Hollywood avevano denunciato la situazione a modo loro in Two Tribes. L’impegno antimilitaristico cresceva insieme alla tensione e alla paura per il lancio di un attacco nucleare, uno dei grandi temi degli anni ’80, e forse toccò il punto più alto nel 1985 con l’uscita della bellissima Russians di Sting.

Anche Boy George e i Culture Club dichiararono il loro antimilitarismo nel mese di ottobre del 1984. La canzone che scelsero per trainare le vendite del loro nuovo album Waking Up with the House on Fire (che sarebbe uscito dopo alcune settimane) era clamorosamente esplicita: si intitolava The War Song, e iniziava con un coro che diceva da subito che la guerra era una cosa stupida. Ma Boy George, Jon Moss e gli altri membri se la prendevano con un importante risvolto psicologico: spesso le guerre vengono associate a un concetto di glamour, quasi come se la guerra fosse una cosa piacevole di per sé, o se l’uniforme fosse un vestito di moda. In alcune interviste Boy George commentò per esempio che trovava fuori luogo il fatto che i bambini si appassionassero alla saga di Guerre Stellari, che era assolutamente una saga di guerre e distruzioni, per quanto assolutamente glamour e affascinante.

Boy George lanciava non solo un nuovo album e una nuova canzone, ma anche una nuova immagine. Lo troviamo più adulto rispetto ai video del precedente album Colour by Numbers, come Church of the Poison Mind o Karma Chameleon, e lo troviamo molto più sicuro di sé stesso. Si presenta con capelli di colori sgargianti tra cui spicca il rosso fuoco, ma anche il giallo e il lilla, in una girandola di look che ricordano Dusty Springfield, ma anche Pete Burns dei Dead or Alive. E che ci fosse stima tra i due lo dimostra il fatto che una volta visto questo video, Pete mandò una ghirlanda di fiori in omaggio a Boy George.

Se la canzone è molto profonda, lo è altrettanto il video. Attenzione: si tratta di uno degli ultimi grandi video (in senso cronologico) girati dal primo grande regista degli anni ’80, Russell Mulcahy, che aveva diretto capolavori come Planet Earth e Rio dei Duran Duran, Total Eclipse of the Heart di Bonnie Tyler, True degli Spandau Ballet, Video Killed the Radio Star dei Buggles, e tante altre.

Il video mostra subito il concetto evocato da Boy George, cioè la contaminazione forzata tra guerra e glamour, e infatti inizia con una sfilata di modelle in uniforme sullo sfondo di una città distrutta. Le immagini delle sfilate e delle modelle si alternano a immagini vere, in bianco e nero, sugli orrori della guerra. Un monito di Boy George a non sottovalutare le conseguenze della guerra. L’imagine più evocativa è il corteo alla fine della canzone: centinaia di bambini sfilano protestando lungo le rive del Tamigi, vestiti da scheletri. Questo è il vero prezzo della guerra, la cancellazione di intere generazioni di innocenti, e, in altre parole, del futuro delle persone.

Anni dopo Boy George commentò scherzando che questa canzone gli aveva rovinato la vita; in realtà la canzone arrivò in testa alle classifiche in molti Paesi europei, e per molti anni fu l’ultima canzone di questo grandissimo gruppo ad arrivare nelle top ten.

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